7 febbraio – NoExpoPride!

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Il 7 febbraio presso l’hangar di Bicocca si svolgerà EXPO DELLE IDEE, un evento partecipato da oltre 500 esperti divisi in 40 tavoli di lavoro che si confronteranno sui temi centrali dell’esposizione.

Noi ci saremo per contestare le tematiche di Expo, in particolare WE-Women for Expo, progetto che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, sostenendo che ogni donna è depositaria di pratiche e tradizioni legate al cibo, alla capacità di nutrire e di prendersi cura non solo di se stesse, ma anche degli altri.

L’immagine della donna offerta oggi da Expo a livello mondiale è quella della cura, della nutrizione. La donna al servizio della casa, della famiglia, e alla fine anche del pianeta. Depositaria di un sapere culinario, la donna culla la terra in un abbraccio materno. Magari indossando un grembiule e dei bei guanti di gomma.

Ma quante persone si riconoscono in questo stereotipo femminile? E soprattutto, ne conseguono dei diritti?

Viviamo in una società nella quale il welfare è fatto dalle donne, in maniera gratuita: non esistono strutture, non si pensa a sostegni di alcun tipo e tutte queste mancanze, e non una presunta natura femminile, riconsegnano le donne alla casa e alla cura. Alla donna è richiesto sempre maggiore sforzo di multitasking: madre amorevole, moglie premurosa, casalinga economa, lavoratrice attenta.

La becera presentazione che fa Expo della femminilità ci sembra un buon esempio di una retorica che nasconde una limitazione alla libertà delle donne di autodeterminarsi e che mistifica due secoli di lotta femminista. L’immagine delle donne è sempre la stessa: scolapasta in mano, mestolo e guanto da cucina.

L’universalità dell’esposizione si rivela pertanto solo un bluff, una veste di innovazione che maschera il conservatorismo dietro il quale si nasconde questa fiera, un’impostazione millenaria e immobile.

Ebbene, noi vi restituiamo il guanto, ma non getteremo mai la spugna.

No Expo Pride

Riappropriarsi della città per difendersi da Expo e Omofobia

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Oggi, 17 gennaio 2015, in piazza ci siamo anche noi.
Ci siamo con i contenuti che portiamo avanti da anni assieme alla rete di Attitudine NoExpo, ci siamo per samascherare le strategie di pinkwashing di Expo, ancor meno credibili quando lo stesso logo di Expo appare in calce ad un convegno omofobo targato regione Lombardia.
Expo è una macchina incubatrice di precarietà diffusa, sperimenta contratti lavorativi di sfruttamento assoluto e di “volontariato”, istituisce un dispositivo di controllo e normalizzazione delle nostre vite.
Expo è un gigante di cemento che si mangia intere aree extraurbane, che lascerà in eredità strutture fantasma abbandonate a sé stesse, che non avranno più valore per nessuno e dunque a nessuno interesseranno più.
Expo è un generatore di debito pubblico travestito da grande evento, sfruttamento mascherato da opportunità.

Non ci scandalizza la presenza del logo Expo assieme a quello della Regione Lombardia sulla presentazione di un convegno dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, un convegno che promuove la “famiglia naturale” come unica famiglia legittima, con un ospite d’eccezione come Mario Adinolfi, ex PD, autore del libroVoglio la mamma in cui contesta i “falsi miti di progresso” (aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, utero in affitto).
Piuttosto, ci fa inorridire la politica sulle donne che Expo sta portando avanti e che è perfettamente in linea con l’immagine di donna regina del focolare domestico e madre prima di tutto, depositaria di conoscenze legate al cibo, al nutrimento e alla capacità di “prendersi cura” (così recita il sito di Women for Expo), un’immagine che ci riporta ad epoche oscurantiste e di matrice indubbiamente patriarcale, sostenuta per esempio dalla giornalista Costanza Miriano, autrice di imperdibili testi come Sposati e sii sottomessa (e non è satira). In questo svilimento dei diritti delle donne e delle soggettività LGBTQ, gli unici segnali di apparente apertura sono dettati dall’interesse economico che sta dietro alla valorizzazione del turismo omosessuale, con un fallito progetto di Gay Street patrocinata da Comune di Milano ed Expo che, nel migliore degli stereotipi, avrebbe messo un’intera strada, “ripulita” dal degrado per l’occasione, a disposizione dei gay (ovviamente maschi) tanto attenti alla moda e allo shopping: un’ “area protetta”, in cui questi strani individui possano muoversi felici e alla quale il mondo possa guardare sorridendo con sollievo. Questo è pinkwashing : nessuna reale volontà di incidere sulla cultura delle libertà, libertà di essere chi e come si vuole, di costruire le famiglie che più ci piacciono e meglio ci fanno stare, di vivere la sessualità e la vita senza subire il giudizio di nessuno.

Oggi siamo in piazza anche noi con questi contenuti, con una forte critica al convegno, alla Regione Lombardia che lo organizza e lo ospita in una sala pubblica (e lo prende a modello per le sue politiche in materia di famiglia), ma anche con una forte opposizione a Expo e a quei partiti che si autoproclamano rappresentanti della società. Partiti che vediamo contemporaneamente presenti nei luoghi del potere e delle decisioni, nei consigli per Expo, nei convegni omofobi come pure nelle piazze che contestano quei convegni. Partiti che paralizzano la lotta con la loro ipocrita ubiquità anziché assumere delle posizioni chiare.

RETE MILANESE PER IL NOEXPO PRIDE SI RITROVERÀ SABATO 7 FEBBRAIO 2015 ALLE ORE 14.00
IN VIA MELCHIORRE GIOIA, DAVANTI AL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA

DONNE, FROC* E QUEER
VERSO NOEXPO PRIDE 2015

noexpo_pride@autistici.org
noexpo.org

 

Volantino diffuso al presidio del 17-1-2015 (Milano)

Nè normali nè sfruttate. Appello per una mobilitazione frocia, femminista e queer contro Expo

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Expo2015 non significa solamente cementificazione, mafia e investimenti di ingenti capitali (pubblici) a fini di guadagni (privati). Expo 2015 è l’alibi per giustificare e mettere in campo esempi di ridefinizione del mondo del lavoro e modelli di controllo e normalizzazione della popolazione. Governo, comune, regione e società private, inclusi i grandi sponsor nazionali ed esteri, sono consapevoli che i propri guadagni si consolideranno dal giorno dopo la chiusura dell’Esposizione Universale a Milano, quando ognuno di essi metterà a bilancio i vantaggi sia politici che economici che Expo avrà loro consegnato.
All’interno del meccanismo di raccolta di consenso che Expo tenta di imbastire attorno a sé, con propaganda e promesse subdolamente efficaci, come collettivi di genere ci interessa soffermarci e capire il significato che assumono la campagna WomenForExpo e la costruzione della GayStreet milanese.

WomenForExpo
Questo progetto coinvolge Comune, Provincia, Regione, Expo SpA, Ministero dell’Economia e delle Finanze e grandi sponsor privati, oltre ad associazioni e realtà femminili e di donne, per lo più legate a quel femminismo della differenza tanto potente in Italia.
WfE è la “quota rosa” di Expo, si avvale di una potente struttura burocratica ed economica, e propone l’immagine di una donna che trova in Expo il proprio posto in quanto imprenditrice, cittadina europea e del mondo,e soprattutto madre, quindi “naturalmente” votata al prendersi cura, al cullare e al “nutrire il pianeta”. E’ un progetto che normalizza la condizione di oppressione delle donne, svelandola e infiocchettandola come fosse qualcosa da accettare e addirittura esaltare.

Da un lato si promuove la donna imprenditrice e di potere, sfruttatrice di altre donne e di altri uomini, e dall’altro si accentua l’oppressione di tutte le altre donne, giustificandola con la “vocazione” alla maternità e alla cura, per impedire qualsiasi rivendicazione di libertà e parità, del resto impossibile in una società che divide per sfruttare meglio. Miliardi di donne che lavorano ogni giorno nei settori dell’alimentazione e della cura non troveranno in Expo nessuno spazio, anzi: si confermerà, tramite lo schiavismo mascherato del “volunteering” e del lavoro precario, la condizione di sfruttamento doppio a cui oggi le donne sono sottoposte.

GayStreet in via Sammartini
Il Comune di Milano ha deciso di ripulire via Sammartini (adiacente alla Stazione Centrale) dalla microcriminalità mettendo in atto politiche securitarie e di controllo, per poi colorarle di rainbow. Telecamere, chiusura del traffico e presenza permanente di polizia locale vorrebbero permettere al turismo (u)omosessuale di Expo di trovare in quella via una risposta commerciale. L’intento – dichiarato – è di puntare a incrementare le cifre del turismo omosessuale e del mercato “pink”. Viene proposto l’unico modello di omosessuale gradito ed integrabile, normalizzato, maschile e di classe media, escludendo completamente i soggetti lgbit*q che non rientrano negli stereotipi accettati socialmente o che non risultano essere utili alle logiche di mercato.
La decisione della costruzione della GayStreet, imposta dall’alto, si rivolge al turismo estero senza accogliere e interpellare la realtà lgbit*q milanese, togliendoci ogni possibilità di autodeterminazione sulla città che viviamo e nella quale subiamo ancora quotidianamente l’esclusione, la discriminazione, l’omofobia.

Sebbene i due progetti abbiano consistenze diverse, sono entrambi accomunati dall’utilizzare le nostre identità e i nostri corpi in nome del profitto, e propongono la sussunzione delle nostre rivendicazioni e delle nostre lotte all’interno di un processo sociale e politico, sempre più escludente, maschile e razzista. La quota rosa di Expo e la GayStreet risultano essere dispositivi di normalizzazione e di reclusione all’interno di spazi fisici e politici, che, vantandosi di essere progetti progressisti, tentano di nascondere lo stato dell’arte dei percorsi di smantellamento dei diritti nel mondo del lavoro, della scuola, della sanità e del welfare, e l’assenza di ogni tipo di diritto per i soggetti lgbit*. Rifiutiamo i modelli di donna e di omosessuale che ci propongono e ci impongono, e distruggiamo i discorsi che la società “per bene” fa in nome nostro e dei nostri desideri.

Invitiamo per questo tutte le singole, le realtà e le collettive femministe, froce, queer, trans, intersex ad un’assemblea nazionale a Milano il 14 Dicembre, per discutere e analizzare collettivamente la consistenza di questi due progetti, e per costruire insieme una mobilitazione nazionale femminista e queer contro Expo e le sue omo/femo-normalizzazioni.

Ci vogliono normali ci avranno ribelli!
Ci danno una strada, ci riprendiamo la città!

Milano, 14 Dicembre, ore 10:00 a RiMake, ex BNL, spazio recuperato in via Astesani 47 (MM3 Affori FN)

Collettivo femminista e lgbit* Le Lucciole – Collettivo femminista Ambrosia – Collettivo femminista Shora – Donne nella crisi

Per adesioni, informazioni e ospitalità: lucciole@autistiche.orgambrosia.milano@gmail.com
338-8365190 – 340 0765975